La Corte di Cassazione in materia di autoriciclaggio e offerta di valute virtuali | Fieldfisher
Skip to main content
Insight

La Corte di Cassazione in materia di autoriciclaggio e offerta di valute virtuali

30/12/2022

Locations

Italia

Lo scorso 22 novembre 2022 la Corte di Cassazione (Cass. Pen., Sez. II. n. 44378/2022) si è pronunciata in tema di sequestro preventivo di wallet di criptovalute, cogliendo l’occasione per svolgere alcune considerazioni sulla relativa normativa vigente in Italia e sul regime dell’offerta al pubblico di servizi o attività di investimento in criptovalute.

In particolare la seconda sezione penale della Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza emessa dal Tribunale del Riesame di Brescia (e rinviato a quest’ultimo per un nuovo giudizio) con cui era stato negato il sequestro preventivo richiesto dal  pubblico ministero di un wallet contenente 30 bitcoin.In sintesi: la Procura della Repubblica avrebbe voluto sequestrare il wallet contenente il profitto del contestato reato di autoriciclaggio (art. 648 ter.1 c.p.) che sarebbe stato commesso dall’indagato attraverso il reinvestimento in criptovalute di altre criptovalute a loro volta ritenute provento del reato di esercizio abusivo di attività bancaria e raccolta del risparmio (art. 131 D. Lgs. 385 del 1993 (il “TUB”)) ovvero del reato di abusivismo finanziario (art. 166 D. Lgs. 58 del 1998 (il “TUF”)).

Nello statuire l’astratta applicazione del sequestro ai wallet di criptovalute,  la Corte ha ricordato che una prima definizione di “valuta virtuale” (di derivazione unionale) è stata recepita nel nostro ordinamento dal D. Lgs. 231/ 2007 (ossia la normativa domestica in materia di antiriciclaggio) ai sensi del quale s’intende per “valuta virtuale”: “la rappresentazione digitale di valore, non emessa né garantita da una banca centrale o da un’autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi o per finalità di investimento e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente” (art. 1, lett. qq) D.Lgs. 231/07).

La Corte dopo aver sottolineato come nel nostro ordinamento la predetta previsione faccia riferimento – in aggiunta rispetto a quanto previsto a livello unionale - (non solo alla finalità di  scambio per l’acquisto di beni o servizi, ma anche) alla “finalità di investimento”, ha ricordato che: (i) i prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale sono tenuti a iscriversi in un apposito albo tenuto presso l’Organismo agenti e mediatori creditizi (OAM) e (ii) gli exchanger[1] e i wallet provider[2] sono soggetti a specifici obblighi normativi in materia di antiriciclaggio.

Alla luce del fatto che, ove la vendita di valuta virtuale venga reclamizzata come una vera e propria proposta di investimento, si avrà attività soggetta agli adempimenti previsti dal TUFl, la Corte ha evidenziato che l’offerta fuori sede, la promozione o il collocamento mediante l’utilizzo di tecniche di comunicazione a distanza di valuta virtuale rappresenta una condotta sussumibile nella fattispecie delittuosa di cui all’articolo 166, co. 1, lett. c)  TUF che punisce con la reclusione da uno a otto anni e la multa da Euro 4.000,00 a euro 10.000,00 chi offre, inter alia, servizi o attività di investimento in assenza delle prescritte autorizzazioni. (reato di abusivo finanziario c.d. sollecitatorio).

Nel caso in esame, in particolare, la raccolta di fondi era finalizzata alla creazione di una piattaforma decentralizzata di servizi logistici e, ai soggetti che avevano contribuito con i propri fondi erano state assegnate valute virtuali utilizzabili per usufruire dei servizi della piattaforma.

Sempre secondo quanto evidenziato dalla Corte, le valute virtuali potrebbero essere riconducibili alla ampia categoria degli “prodotti finanziari” laddove sussistano taluni caratteri distintivi quali: (i) l’impiego di capitali, (ii) l’aspettativa di un rendimento e (iii) la presenza di un rischio proprio dell’attività prescelta, direttamente correlato all’impiego di capitali.

Secondo la Corte nel caso in esame, stante la sussistenza dell’impiego di capitali e la presenza di un rischio legato all’impiego di questi ultimi, l’aspettativa di ottenere un rendimento era rappresentata dalla dazione di talune monete virtuali al fine di vedersi corrisposte altre monete virtuali che avrebbero in un secondo momento permesso la partecipazione alla piattaforma; le valute assegnate avrebbero avuto valore variabile a seconda del momento dell’acquisto e avrebbero dato agli investitori la possibilità di acquisire un maggior valore qualora il progetto relativo alla piattaforma avesse avuto successo.

L’attività svolta dalla piattaforma è stata pertanto ricondotta all’attività di offerta al pubblico di servizi o attività di investimento in assenza delle prescritte abilitazioni e, quindi, è stato ritenuto astrattamente integrato il reato di cui all’art. 166 TUF, con possibile applicazione del sequestro preventivo del wallet contenente i bitcoin.

Avv. Carmelo Raimondo
Avv. Matteo Colavolpe
 
[1] ossia ogni persona fisica o giuridica che fornisce a terzi, a titolo professionale, anche online, servizi funzionali all’utilizzo, scambio, conservazione di valuta virtuale e alla loro conversione da, ovvero in, valute aventi corso legale o in rappresentazioni digitali di valore, ivi comprese quelle convertibili in altre valute virtuali nonché i servizi di emissione, offerta trasferimento e compensazione e ogni altro servizio funzionale all’acquisizione, negoziazione o intermediazione nello scambio delle medesime valute.
[2] Ossia ogni persona fisica o giuridica che fornisce a terzi, a titolo professionale, anche online, servizi di salvaguardia di chiavi crittografiche private per conto dei propri clienti, al fine di detenere memorizzare e trasferire valute virtuali.

Sign up to our email digest

Click to subscribe or manage your email preferences.

SUBSCRIBE